Is it time for Lewis Hamilton to retire gracefully? La domanda che serpeggia nel paddock è ormai questa.
Dopo una stagione in rosso fatta di alti pochissimi e bassi continui, il sette volte campione si trova davanti al bivio che ogni fuoriclasse deve affrontare: continuare a lottare sperando nel colpo di coda, oppure chiudere il cerchio prima che l’ultimo capitolo rovini il mito.
Il paragone con Fernando Alonso è inevitabile. Lo spagnolo, a 44 anni, sembra ancora affilato e a suo agio nel ruolo di “senatore” della F1. Hamilton, a 40 e in pieno progetto Ferrari, appare invece intrappolato fra aspettative gigantesche, risultati deludenti e una pressione mediatica che non molla mai.
Lo abbiamo visto in modo brutale a Las Vegas, in un weekend che ha lasciato cicatrici profonde e che abbiamo raccontato in Hamilton, notte da incubo a Las Vegas: prima volta in carriera ultimo in griglia .
I numeri di un sette volte campione in difficoltà
Il problema, oggi, non è tanto la mancanza di singoli lampi. Hamilton continua a mostrare sprazzi di velocità, giri veloci, rimonte parziali. Ma per un campione del suo calibro il metro di giudizio è un altro: continuità, podi, lotta vera per le vittorie.
Nel primo anno in rosso, però, la storia è diversa. Leclerc porta a casa risultati migliori, la Ferrari resta senza vittorie e Lewis colleziona errori, weekend in salita e frustrazione. Il quadro complessivo, analizzato in Ferrari, Hamilton e Leclerc dopo il caos di Las Vegas: rimpianti e realtà , è quello di un campione che non riesce a far combaciare il proprio talento con una SF-25 nervosa e poco prevedibile.
A peggiorare la situazione ci si mette anche la gestione dei momenti chiave: bandiere, radio confusionarie, giri lanciati abortiti. Il tutto condensato nel racconto di Hamilton, luci rosse e caos radio a Las Vegas: Ferrari sotto pressione , dove ogni dettaglio sembra andare nel verso sbagliato proprio quando conta.
Età, adattamento o fine del ciclo?
Ufficialmente, nessuno a Maranello attribuisce i problemi di Hamilton all’età. La narrativa è quella dell’adattamento: macchina diversa, stile di guida da trovare, nuovo ambiente, nuova cultura. Eppure, col passare delle gare, la lista delle attenuanti si fa sempre più corta.
Dall’esterno, c’è chi comincia a chiedersi se non sia cambiato qualcosa di più profondo. Ralf Schumacher, per esempio, ha scelto la linea dura arrivando a proporre un cambio radicale: sostituire Hamilton con Oliver Bearman, come abbiamo raccontato in Ralf Schumacher sgancia la bomba: Ferrari dovrebbe puntare su Bearman al posto di Hamilton .
Non è solo una provocazione economica – un giovane costa meno di un pluricampione – ma anche tecnica: costruire il futuro su un talento emergente, invece che su un fuoriclasse che rischia di vedere scivolare via le ultime chance di gloria.
Il peso dell’eredità e il rapporto con Ferrari
Hamilton resterà comunque uno dei più grandi di sempre: titoli, vittorie, pole, impatto fuori dalla pista. Ma ogni anno in più vissuto in modalità “comprimario di lusso” aumenta il rischio di trasformare l’era Ferrari in una nota stonata nella sua carriera, invece che nel gran finale romantico sognato al momento della firma.
Le parole di John Elkann sui piloti che devono “parlare meno e guidare di più” hanno aggiunto benzina sul fuoco, scatenando reazioni sui social e nel paddock. La risposta di Lewis è stata ferma, come abbiamo visto in Hamilton risponde: “Io credo nella mia squadra. Credo in me stesso. Non mi arrendo” , ma il messaggio di fondo è chiaro: il margine di errore, per tutti, è ormai sottilissimo.
Il tema della comunicazione e della gestione interna è stato al centro anche dell’analisi su Elkann e Leclerc, con un equilibrio delicatissimo fra spogliatoio, vertici e tifosi.
Ritiro “graceful” o ultimo assalto?
E allora torniamo alla domanda iniziale: è arrivato il momento per Lewis Hamilton di ritirarsi con eleganza?
Da un lato, l’idea di salutare il pubblico mentre è ancora riconosciuto come il pilota più vincente di sempre è affascinante. Eviterebbe altre stagioni di frustrazione, toglierebbe pressione a Ferrari e aprirebbe la porta alla nuova generazione senza trasformarsi nel bersaglio preferito delle critiche.
Dall’altro, c’è chi crede che il colpo di coda sia ancora possibile: che il nuovo ciclo tecnico, unito a un inverno di lavoro duro, possa regalare almeno un ultimo momento di magia. È la stessa speranza che attraversa tanti dei nostri pezzi su Las Vegas e su questa fase complicata del binomio Ferrari–Hamilton, da Il pronostico di Barrie Jarrett per Las Vegas: Norris favorito, Ferrari a caccia di punti pesanti fino a Hamilton, luci rosse e caos radio a Las Vegas: Ferrari sotto pressione .
La scelta finale spetta solo a lui. La vera domanda, per i tifosi, è un’altra: preferite ricordare Hamilton come il dominatore dell’era Mercedes, o siete pronti a seguirlo fino in fondo, anche se l’ultimo capitolo in rosso dovesse chiudersi senza lieto fine?
Dopo una stagione in rosso fatta di alti pochissimi e bassi continui, il sette volte campione si trova davanti al bivio che ogni fuoriclasse deve affrontare: continuare a lottare sperando nel colpo di coda, oppure chiudere il cerchio prima che l’ultimo capitolo rovini il mito.
Il paragone con Fernando Alonso è inevitabile. Lo spagnolo, a 44 anni, sembra ancora affilato e a suo agio nel ruolo di “senatore” della F1. Hamilton, a 40 e in pieno progetto Ferrari, appare invece intrappolato fra aspettative gigantesche, risultati deludenti e una pressione mediatica che non molla mai.
Lo abbiamo visto in modo brutale a Las Vegas, in un weekend che ha lasciato cicatrici profonde e che abbiamo raccontato in Hamilton, notte da incubo a Las Vegas: prima volta in carriera ultimo in griglia .
I numeri di un sette volte campione in difficoltà
Il problema, oggi, non è tanto la mancanza di singoli lampi. Hamilton continua a mostrare sprazzi di velocità, giri veloci, rimonte parziali. Ma per un campione del suo calibro il metro di giudizio è un altro: continuità, podi, lotta vera per le vittorie.
Nel primo anno in rosso, però, la storia è diversa. Leclerc porta a casa risultati migliori, la Ferrari resta senza vittorie e Lewis colleziona errori, weekend in salita e frustrazione. Il quadro complessivo, analizzato in Ferrari, Hamilton e Leclerc dopo il caos di Las Vegas: rimpianti e realtà , è quello di un campione che non riesce a far combaciare il proprio talento con una SF-25 nervosa e poco prevedibile.
A peggiorare la situazione ci si mette anche la gestione dei momenti chiave: bandiere, radio confusionarie, giri lanciati abortiti. Il tutto condensato nel racconto di Hamilton, luci rosse e caos radio a Las Vegas: Ferrari sotto pressione , dove ogni dettaglio sembra andare nel verso sbagliato proprio quando conta.
Età, adattamento o fine del ciclo?
Ufficialmente, nessuno a Maranello attribuisce i problemi di Hamilton all’età. La narrativa è quella dell’adattamento: macchina diversa, stile di guida da trovare, nuovo ambiente, nuova cultura. Eppure, col passare delle gare, la lista delle attenuanti si fa sempre più corta.
Dall’esterno, c’è chi comincia a chiedersi se non sia cambiato qualcosa di più profondo. Ralf Schumacher, per esempio, ha scelto la linea dura arrivando a proporre un cambio radicale: sostituire Hamilton con Oliver Bearman, come abbiamo raccontato in Ralf Schumacher sgancia la bomba: Ferrari dovrebbe puntare su Bearman al posto di Hamilton .
Non è solo una provocazione economica – un giovane costa meno di un pluricampione – ma anche tecnica: costruire il futuro su un talento emergente, invece che su un fuoriclasse che rischia di vedere scivolare via le ultime chance di gloria.
Il peso dell’eredità e il rapporto con Ferrari
Hamilton resterà comunque uno dei più grandi di sempre: titoli, vittorie, pole, impatto fuori dalla pista. Ma ogni anno in più vissuto in modalità “comprimario di lusso” aumenta il rischio di trasformare l’era Ferrari in una nota stonata nella sua carriera, invece che nel gran finale romantico sognato al momento della firma.
Le parole di John Elkann sui piloti che devono “parlare meno e guidare di più” hanno aggiunto benzina sul fuoco, scatenando reazioni sui social e nel paddock. La risposta di Lewis è stata ferma, come abbiamo visto in Hamilton risponde: “Io credo nella mia squadra. Credo in me stesso. Non mi arrendo” , ma il messaggio di fondo è chiaro: il margine di errore, per tutti, è ormai sottilissimo.
Il tema della comunicazione e della gestione interna è stato al centro anche dell’analisi su Elkann e Leclerc, con un equilibrio delicatissimo fra spogliatoio, vertici e tifosi.
Ritiro “graceful” o ultimo assalto?
E allora torniamo alla domanda iniziale: è arrivato il momento per Lewis Hamilton di ritirarsi con eleganza?
Da un lato, l’idea di salutare il pubblico mentre è ancora riconosciuto come il pilota più vincente di sempre è affascinante. Eviterebbe altre stagioni di frustrazione, toglierebbe pressione a Ferrari e aprirebbe la porta alla nuova generazione senza trasformarsi nel bersaglio preferito delle critiche.
Dall’altro, c’è chi crede che il colpo di coda sia ancora possibile: che il nuovo ciclo tecnico, unito a un inverno di lavoro duro, possa regalare almeno un ultimo momento di magia. È la stessa speranza che attraversa tanti dei nostri pezzi su Las Vegas e su questa fase complicata del binomio Ferrari–Hamilton, da Il pronostico di Barrie Jarrett per Las Vegas: Norris favorito, Ferrari a caccia di punti pesanti fino a Hamilton, luci rosse e caos radio a Las Vegas: Ferrari sotto pressione .
La scelta finale spetta solo a lui. La vera domanda, per i tifosi, è un’altra: preferite ricordare Hamilton come il dominatore dell’era Mercedes, o siete pronti a seguirlo fino in fondo, anche se l’ultimo capitolo in rosso dovesse chiudersi senza lieto fine?







